All’alba di un nuovo sguardo…
Tre anni, due parole, un sorriso. Gabi mi si presenta in questo modo. Ancora non arriva al piano da gioco del biliardino. Cerca di afferrare una manopola contesa tra i più grandi, viene scansato, ma i suoi occhi continuano ad osservare. È curioso. Ritrovo in lui la curiosità dei bimbi della sua età e la cosa mi sbatte addosso ancora una volta l’immensità della vita, contro la piccolezza dei paragoni. Nel parco giochiamo con la sabbia, attività che potrebbe anche assumere il nome di “travasi con materiale naturale”. Potrebbe. Siamo una sabbiera improvvisata, con una macchinina in plastica che Gabi ha tenuto sotto controllo tutto il tempo: è il regalo che oggi può portare a casa ed è attentissimo a questa sua piccola e nuova proprietà. Immergiamo le mani nella nisip, senza troppo pensare alla possibilità che sia stata inumidita da escrementi animali: adesso è il nostro campo da gioco. Intercorrono poche parole tra di noi: entrambi forse facciamo ancora fatica a parlare. Ogni tanto sorride delle mie frasi e ride quando cerco di fargli il solletico, toccando delicatamente la parte di gamba che spunta tra il paio di pantaloni troppo corti e le scarpe troppo larghe. Ha degli occhi stupendi. Lo guardo sereno, con il suo regalo tra le mani, mentre segue sua sorella e il vento gli agita il maglione rosso, sempre un po’ troppo grande e troppo usato. Penso all’Italia, ai criteri di pulizia che ho cercato di rispettare nel mio primo lavoro al nido d’infanzia. Ero combattuta tra cambiare il vestito al bambino o lasciare che si recasse a casa un po’ meno pulito. Non riesco ancora a spiegarmi completamente ciò che sta nascendo in me rispetto alla realtà che osservo. Qui un bambino arriva sporco e va a casa forse anche peggio, ma con le mani e i denti puliti. Ora ciò che cambia non è il vestito, ma il mio pensiero. Pur riconoscendo la necessità di contestualizzare luoghi e persone, percepisco che evidenziare questa differenza tra il prima e l’adesso possa aiutarmi a esercitare mente e cuore in questo continuo incontro d’umanità. Non si dice: «Quanto sei bella con questa vestina!», ma: «Quanto sono belli i tuoi occhi!». La vestina può essere indossata quasi da chiunque, gli occhi no. Questa variante mi coglie impreparata davanti alla bellezza umana e mi spinge a domandarmi quanto, non solo negli altri, ma anche in me stessa, io veda la vestina o gli occhi.